La chiesa di San Silvestro è situata nel quarto di Santa Maria Paganica. Venne edificata per volere degli abitanti del castello di Collebrincioni che contribuirono così alla fondazione della città nel XIII secolo. La chiesa originaria insisteva direttamente sulle mura della città che, nella prima configurazione, si sviluppavano dal Palazzo Reale — adiacente l’attuale chiesa di San Domenico — sino a San Silvestro, come testimoniato dalla presenza del torrione sul fianco sinistro. L’esatta datazione dell’assetto odierno della chiesa è oggetto di discussioni tra gli esperti, ma un dato certo è che i lavori sull’impianto attuale sono documentati nel 1350, data in cui è verosimile ipotizzare l’edificazione della facciata.
È caratterizzata dai resti di un importante ciclo di affreschi realizzato dal Maestro di Beffi. Tra il XV ed il XVI secolo risentì dell’influenza della famiglia Branconio che fece costruire la propria dimora di fronte alla chiesa e la valorizzò con opere di tre grandi nomi: Francesco da Montereale (le due edicole in controfacciata), Raffaello Sanzio e Giulio Cesare Bedeschini.
Intorno al 1517 Giovanni Battista Branconio, pronotario di papa Leone X, commissionò a Raffaello Sanzio una Visitazione come dono al padre Marino. La tela, dipinta a olio su tavola, venne collocata nella cappella di famiglia allestita nell’abside della navata sinistra, e vi rimase sino al 1655 quando, su pressione degli spagnoli, papa Alessandro VII ne autorizzò la consegna al re Filippo IV di Spagna, nonostante le proteste degli aquilani ma con l’avvallo di un discendente del Branconio.
Oggi la tela è esposta al Museo del Prado di Madrid. Nella chiesa di San Silvestro è rimasta una copia probabilmente realizzata da Giulio Cesare Bedeschini mentre affrescava le pareti della cappella Branconio.
L’opera era giunta da Roma all’Aquila a certificare lo straordinario innalzamento economico e sociale della famiglia. Un’iscrizione in lettere d’oro posta alla base del dipinto recita infatti in basso nella parte sinistra: “RAPHAEL URBINAS, F.” e in quella destra “MARINUS BRANCONIUS, F,F” scritta che, secondo i canoni delle abbreviazioni, deve essere sciolta in Raphael Urbinas, Fecit, Marinus Branconius, Fecit, Fieri che tradotta dal latino stereotipato delle formule verrebbe Raffaello urbinate fece, Marino Branconio fece fare. Paradossalmente la scritta invece di essere solamente letta deve essere interpretata: e dove si legge Raffaello si deve sciogliere in Raffaello e aiuti e dove Marino Branconio si deve intendere Giovan Battista Branconio. In realtà è il figlio di Marino, Giovan Battista, a chiedere e ad ottenere da Raffaello la Visitazione.
La scelta del soggetto è sicuramente legata a questioni di devozione familiare: la moglie di Marino Branconio si chiamava infatti Elisabetta, e per questo aveva dato al figlio il nome Giovanni.
Giovanni Battista Branconio era un personaggio affermato e noto in tutta Roma, e il suo prestigio era legato non tanto alla sua attività di orafo, della quale oggi nulla rimane, ma al favore di due papi, prima di Giulio II e poi di Leone X. La fama successiva di Giovanni Battista si deve piuttosto al suo ruolo di custode di Annone, l’elefante albino donato al Papa dal re del Portogallo, Emmanuele il Fortunato e appunto all’amicizia con Raffaello.
Il rapporto tra Giovanni Battista Branconio e Raffaello risulta solidamente testimoniato dal palazzo edificato a Roma dall’urbinate per l’amico a partire dal 1518 e dal ruolo di esecutore testamentario che l’aquilano, assieme al cardinale Datario, Baldassarre Turrini da Pescia, svolse per il Sanzio.
La Visitazione mostra evidenti contatti, a vari gradi, con le opere di Raffaello e della sua bottega realizzate in questo giro di anni. La Visitazione presenta due scene: quella principale in cui le due donne si incontrano, anche se in questo caso, per altro non infrequente, il contesto architettonico non compare, e in secondo piano, il Battesimo di Cristo.
Alla metà del 500 risale anche l’edicola posta sulla parete di destra, che in origine ospitava il pregevole gruppo scultoreo della Madonna di San Silvestro, esposto oggi al Museo Nazionale d’Abruzzo. Sul finire del secolo venne allestita una seconda cappella utilizzando il vano del torrione posto sul muro di sinistra, venne realizzata una cupolina su base ottagonale e lì venne collocato un altare di gusto barocco — primo esempio di questo stile in città — impreziosito dal Battesimo di Costantino di Baccio Ciarpi.
Nel 1625 per volere di Girolamo Branconio, nipote di Giovanni Battista, la cappella di famiglia venne rinnovata ad opera di Giulio Cesare Bedeschini, che ne arricchì la composizione con la Presentazione di Gesù e la Presentazione di Maria. Girolamo inoltre fece realizzare una controvolta all’interno del vano absidale che anticipava le esigenze di una nuova spazialità seicentesca per l’intero organismo architettonico.
Nel 1902 la chiesa è stata inserita nell’elenco degli edifici monumentali nazionali.
La facciata è in pieno stile romanico, con i suoi sei metri circa di ampiezza quello della chiesa di San Silvestro è il rosone più grande fra quelli della città e, come altri, presenta la caratteristica rotazione, apparentemente irregolare, rispetto agli assi di riferimento, particolarità che sottenderebbe significati simbolici o metaforici ancora tutti da verificare e conferisce dinamismo all’opera. Le vetrate che completavano il rosone sono andate quasi completamente perdute, tranne piccoli frammenti applicati per mezzo di stuccature perimetrali visibili in alcune arcatelle. Le porzioni maggiori erano probabilmente fissate sulle barrette in ferro che collegavano le colonnine, in parte ancora presenti, e delle quali sono ben visibili i fori per il fissaggio.